di Matteo Fusilli Presidente Federparcho
Data : 23 - 24 luglio 2004
Fonte : Convegno La scommessa della qualità italiana Ravello Festival 2004
L’istituzione dei parchi in Italia, nella prima metà del secolo scorso, è stato il sogno di pochi studiosi, uomini di scienza, giornalisti, naturalisti. Per far nascere il Parco d’Abruzzo numerose furono le iniziative della Lega per la protezione dei monumenti naturali, dell’Associazione Pro Natura e della Società Botanica Italiana. Inoltre, un forte impulso fu dato da Benedetto Croce, filosofo eminente, nato nel 1866 proprio a Pescasseroli.
Nel 1922 fu istituito il Parco Nazionale del Gran Paradiso, prima area protetta italiana e, dopo oltre venti anni, l’Italia ebbe altri due parchi nazionali: il Circeo (1934) e lo Stelvio (1935).
Bisogna attendere la seconda metà degli anni ’60, perché si produca una svolta importante nella cultura, nella politica e nella complessiva visione del mondo. Un movimento che nasce nell’università californiana di Berkeley e si estende a quasi tutto il mondo occidentale e pone con forza, tra tante altre questioni, anche quelle ambientali.
Si fa strada nella comunità scientifica e soprattutto nelle coscienze la preoccupazione per il futuro del pianeta e l’allarme per lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali. La mobilitazione dell’opinione pubblica porta alla dichiarazione dell’Anno europeo della conservazione della natura nel 1970 e negli Stati Uniti, il 22 aprile dello stesso anno, è proclamata la Giornata della Terra. Iniziative che segnalano un crescente interesse per le tematiche ambientali.
Negli anni ‘70 e ‘80 che in varie parti d’Italia nascono movimenti, associazioni e gruppi spontanei, che attraverso campagne di stampa, raccolta di firme, petizioni e proposte di legge d’iniziativa popolare, si mobilitano per l’istituzione dei parchi.
Dopo oltre cinquanta anni dalle prime istituzioni, la realtà è in movimento e la mobilitazione culturale, scientifica e sociale si salda con le iniziative parlamentari. Nel 1991 è approvata la “Legge quadro sulle aree protette”.
In quegli anni la tensione positiva di un movimento di idee si incontra con le istituzioni parlamentari, scrivendo una delle pagine più belle ed entusiasmanti della nostra storia recente.
Molte volte, da parte di nemici dichiarati, ma anche di giganti solitari dell’ambientalismo, si tende a presentare la vicenda dei parchi come un processo elitario, che ha come protagonisti minoranze evolute contro maggioranze disinformate e spesso rumorose. In parte è andata così e un ruolo decisivo lo hanno avuto sicuramente singoli studiosi, rappresentanti di associazioni, organi di stampa nazionali e locali, singole personalità della cultura e della scienza. Ma nei territori coinvolti direttamente dall’istituzione dei parchi vi è stato un confronto di idee e interessi contrapposti e uno scontro, in alcuni casi anche fisico, sul futuro di quelle aree che hanno visto la partecipazione diretta di migliaia e migliaia di cittadini. Questo confronto può essere paragonato, per l’intensità del coinvolgimento politico e culturale, anche se in scala minore, alle grandi passioni che si sono manifestate a livello nazionale in occasione dei referendum degli anni ’70. Molti di coloro che avevano dato vita a quel movimento, “la generazione della 394”, si ritrovano negli anni successivi ad amministrare e dirigere i parchi.
Il sogno della costituzione dei parchi può diventare realtà. Ha inizio, tra mille contraddizioni, una fase “garibaldina”, con le intese sulle perimetrazioni, l’istituzione dei nuovi enti, la nomina degli amministratori, il coinvolgimento delle popolazioni, il rapporto finalmente positivo con le comunità locali e con gli operatori economici, i primi progetti di conservazione.
I parchi crescono, si affermano, dimostrano che è possibile integrare ambiente e sviluppo, rendono visibili i territori, sollecitano orgogli locali, voglia di stare insieme, capacità di “riguardare i luoghi”, nel senso di averne riguardo e di riconoscerne il valore.
Oggi i parchi italiani rappresentano una realtà importante, un punto di qualità del nostro Paese in ritardo su molte altre rilevanti questioni ambientali, ma che è, nel sistema internazionale delle aree protette, un’esperienza originale, innovativa e anche molto apprezzata nei consessi mondiali.
Non voglio dare i numeri delle aree protette italiane che interessano il 12% del territorio nazionale, ma è bene sapere che esse assicurano al nostro Paese il primato europeo per la biodiversità, tutelano alcune delle più grandi riserve di acqua dolce d’Europa e custodiscono la gran parte dei boschi e delle foreste del nostro paese.
Le aree marine protette italiane tutelano e valorizzano un patrimonio ecologico inestimabile e contribuiscono a qualificare l’offerta turistica del nostro Paese. Risorse territoriali importanti per la qualità e la competitività del sistema Italia. Una parte pregiatissima del “Made in Italy”, che rappresenta il maggiore elemento di forza della nostra economia e per il futuro del nostro Paese.
Il movimento mondiale dei Parchi si è ritrovato a Durban, lo scorso settembre e ha indicato nuovi traguardi. I 3.000 partecipanti del III Congresso Mondiale dei Parchi, una comunità multietnica appassionata e rappresentativa di una rete mondiale di 100.000 aree protette, alla presenza di Nelson Mandela, hanno indicato che i parchi, in quanto “uno dei più formidabili impegni collettivi della storia dell’umanità in materia di utilizzazione della Terra”, devono contribuire alla “riduzione della povertà e allo sviluppo economico”, essere “sorgente di benefici oltre i confini degli stati, oltre le società, i sessi, le generazioni”, “scuole viventi, luoghi straordinari in cui l’uomo trova le proprie radici, in cui le culture, i sistemi di valori e di conoscenze si trasmettono di generazione in generazione” ed essere “fattori di amicizia e di pace”. La realtà di un nuovo sogno è nei parchi per la vita e nei parchi per la pace. Inoltre, Federparchi e Legambiente stanno promuovendo, con grande successo, la costituzione della Federazione dei Parchi del Mediterraneo.
Il successo dei Parchi può produrre equivoci e strumentalizzazioni. La tentazione di istituirli in ogni collegio elettorale è forte, così come la falsa coscienza di pianificare sviluppo e infrastrutture distruttive e allo stesso tempo, istituire aree protette.
All’opposto c’è chi propende per “…una politica per le aree protette basata essenzialmente sulla quantità di territorio da sottrarre allo sviluppo, sull’arroccamento in poche isole di natura, contrapposte al degrado circostante”.
Non desideriamo quel futuro, “sarebbe solo compensazione, funzionale al mondo che ci circonda, l’ora d’aria del grande meccanismo della produzione”.
I parchi in Italia, oltre a preservare ecosistemi di grande valore, hanno rappresentato la sola risposta di carattere nazionale a un modello di sviluppo distruttivo di risorse ambientali e culturali, che aveva prodotto cattedrali nel deserto, cementificazione delle coste, urbanizzazione selvaggia, abbandono delle campagne e delle aree montane e provocato modificazioni fisiche irreversibili del nostro Paese.
Tutto questo non è considerato dagli economisti/sacerdoti del P.I.L. Non troverete le aree protette nel P.I.L. perché con questo antiquato strumento non è possibile misurare la coesione sociale, la riscoperta della cultura materiale, l’orgoglio dell’appartenenza.
Dobbiamo provare a definire un’idea nuova di ricchezza, in cui il patrimonio ambientale e naturale è un’importante risorsa da proteggere e valorizzare per la qualità della vita e dello sviluppo.
La forza dei parchi è nella capacità di “ricordarsi del futuro”.
Bertold Brecht in “Vita di Galileo”, a un allievo, deluso dal fatto che il maestro ritratta le sue teorie di fronte alla minaccia delle torture e al rogo della Santa Inquisizione, fa dire: “Disgraziato il paese che non ha eroi” e Galileo risponde: “Felice quel paese che non ha bisogno di eroi”. Il sogno per il futuro deve essere proprio questo: “Felice quel paese che non ha bisogno di parchi”, perché appartiene alla normalità delle scelte politiche ed economiche e dei comportamenti quotidiani, il rispetto per le risorse ambientali.
In questi anni abbiamo imparato a sognare e a rendere possibili i nostri sogni. Ora, semplicemente non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo smettere. Come canterebbero i Negrita “…c’è che ormai ho imparato a sognare, non smetterò”.
il link dell articolo
http://www.symbola.net/html/article/LarivalutazionedeiParchi