Autore: a.merenda Topic: Gianninoto vs Bono: di chi è Pantalica?  (Letto 2235 volte)

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Offline a.merenda

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Gianninoto vs Bono: di chi è Pantalica?
« il: 11:06:41 am, 04 Ottobre 2010 »
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  • E' di questi giorni la notizia sensazionale. Quale? Direte voi

    La Provincia regionale di Siracusa, per bocca del suo presidente, ha lanciato il nuovo corso per la gestione di Pantalica: il project financing!

    Giuseppe Gianninoto (detto Pippo), presidente storico del Gal Val d'Anapo nonchè vicepresidente della Camera di Commercio, Industria ed Artigianato di Sr, dal canto suo pare non essere convinto della proposta. A parer suo il sito Unesco non si presterebbe ad una simile forma di gestione poichè sarebbe percepita dalla comunità sortinese (ma anche per le altre dell'unione degli iblei) come un'imposizione calata dall'alto.

    Insomma: si andrebbe a vanificare il lavoro di concertazione pubblico-privata messa su durante l'ultimo quindicennio.


    Ora, c'è da dire questo.

    Le filosofie gestionali (o di governance per essere tecnici) riguardanti lo sviluppo locale sono opposte. Da un lato il ruolo preponderante del privato con il pubblico che fa da "vincolatore-controllore" (Bono) dall'altro un "confronto continuo" che vede protagonisti, per lo più, associazioni di categoria di pmi ed istituzioni pubbliche (Gianninoto)


    Ciò che manca, in entrambi i casi, ed a mio modesto parere, è la previsione di una regola molto semplice: pacta sunt servanda.

    Cosa intendo?

    Voglio dire che siccome nella questione "sviluppo di Pantalica" possono metter bocca una serie di enti pubblici è bene che si stabiliscano delle "regole del gioco" condivise di modo chè venga disinnescata da "guerra dei veti incrociati" (tu dici si, io dico no, l'altro dice di nuovo si etc...) esistente ormai da troppi anni.


    E' chiaro: la questione va a toccare anche l'esistenza di carrozzoni ma non è questo il punto.
    Sono convinto che basterebbe avere un pò più di coraggio. Mi spiego.

    Creare una fondazione privata avente rilevanza pubblica (una sorta di Pro Pantalica) che preveda nel proprio statuto il rispetto dei vincoli della legislazione vigente in materia di beni culturali, ambientali etc.
    Delegare presso tale associazione 2 elementi per ogni istituzione che a qualsiasi titolo abbia diritto ad esprimere un parere sulle sorti di Pantalica (mi riferisco a Assessorato Territorio e Ambiente, Forestale, Comuni interessati, Provincia, Soprintendenza, Natiblei, Ministero Beni culturali in ottica federalista). Prevedere un comitato colsultivo che dia pareri non vincolanti composto, in libertà, da esponenti del non-profit ambientale, del mondo imprenditoriale dell'alta teconologia, imprenditoria agricola e dallo sviluppo locale in genere.

    Questa fondazione dovrebbe servire a strutturare un tipo di governance (che si contrappone al govero classico per l'assenza di gerarchie formalizzate) fatta di rapporti stabili nel tempo tra istituzioni che, in chiave di relazioni pubbliche, hanno chiari problemi di comunicabilità.

    Fissare un appuntamento fisso di "una volta al mese", ad esempio, contribuirebbe ad eliminare quella lotta dei comunicati stampa che uccidono la buona politica.

    Alla fine, durante gli incontri effettuati (per i quali non si dovrà corrispondere alcun gettone di presenza) dovranno uscire posizioni basate non su colpi di maggioranza numerico-matematico bensì sulla base del "consensus". Ovvero di un accordo largamente condiviso (si badi bene non vuol dire unanimità) sulla base del quale, nel rispetto delle prescrizioni legislative, ogni ente dovrà operare nell'immediato.

    Il free rider della situazione (chi dice si e poi non rispetta i patti) dovrebbe essere sanzionato socialmente ma sopratutto politicamente come "persona su cui non poter fare affidamento".


    Nello statuto della suddetta organizzazione dovrebbe essere specificata l'impossibilità di percepire pubblici finanziamenti.

    La sede della fondazione è Pantalica. Ovvero la sede di Serramezzana (ingresso nord RNO Pantalica) dove la struttura simil "rural center" è già presente.


    A che serve tutto ciò?

    1) a far prendere delle decisioni e non fare come Penelope. Con questa storia ci ritroviamo con una miriade di infrastrutture fatiscenti e mal gestite. Quindi a non bruciare i soldi dei cittadini
    2) ad impregnare le energie mentali dei public managers siciliani sul "come fare" anzichè sempre sul "che cosa fare e/o rifare"
    3) dare voce alla cittadinanza organizzata (tramite comitato consultivo) da cui possono uscire buone idee a costo zero

     

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