Autore: a.merenda Topic: Lettera di G.Birindelli a R. Saviano sul significato della democrazia.  (Letto 2079 volte)

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Offline a.merenda

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Caro Saviano,

Nel suo articolo del 13 luglio 2010 su Repubblica (Le mani dei Casalesi su appalti ed elezioni) lei racconta i modi in cui le mafie, attraverso il controllo e l'acquisto di voti, "arrivano a governare l'intero paese". Come soluzione, lei propone il "commissariamento dalla provincia alla regione".

Alla fine del suo articolo, lei si pone una domanda: "come è possibile che tutto questo lasci indifferente un paese?".

Io pongo un'altra domanda, dalla risposta alla quale credo che derivi non soltanto una buona parte della risposta alla sua di domanda, ma anche una sostanziale modifica, se non un capovolgimento, dei termini del problema che lei ha affrontato nel suo articolo, nonché dell'approccio strategico che lei ha suggerito per tentare di risolverlo.

La domanda che pongo è la seguente: cosa è che, perché queste possano "garantirsi uno stipendio", permette a migliaia di persone di "vendere il proprio voto a ras politici che si spostano da una parte o dall'altra a seconda di quanta disponibilità agli affari abbia lo schieramento politico di turno"?

Prima di dare una risposta a questa domanda la avverto che questa chiamerà in causa l'idea stessa di legge e le idee ad essa indissolubilmente legate, a partire da quelle di uguaglianza davanti alla legge e di democrazia. Chiamando in causa questioni di tipo filosofico, questa risposta tenderà ad essere rifiutata a priori da molte persone, le quali preferiscono discutere di problemi più 'concreti' all'interno dell'idea di legge oggi dominante. Questa esigenza di discutere di problemi più 'concreti' indipendentemente dalla visione filosofica all'interno della quale essi si manifestano, esprime paradossalmente l'acritica e molto spesso inconsapevole accettazione di una particolare visione filosofica della legge: quella che il potere è storicamente riuscito a imporre. In questo senso, questa esigenza di discutere di problemi più 'concreti', esprime una doppia, se non tripla, vittoria del potere: quest'ultimo infatti non soltanto è riuscito a imporre una particolare idea di legge, ma è anche riuscito a far passare l'idea che questa idea di legge sia l'unica esistente e quindi a far sì che anche coloro che in buona fede ce la mettono tutta per limitare il potere arbitrario, in realtà, muovendosi all'interno dell'idea di legge che esso ha imposto, di fatto lo legittimano e lo consolidano. Questo risultato è tanto più straordinario in quanto l'idea di legge che il potere è riuscito a imporre e a far credere che sia l'unica esistente è opposta a quella originaria.

Arrivo adesso alla risposta, che non è mia ma di Friedrich von Hayek: ciò che consente agli elettori di vendere il proprio voto è il fatto che la stessa istituzione (il parlamento) ha, da un lato, il potere di occuparsi di leggi (e cioè di difendere principi) e, dall'altro, quello di occuparsi di misure, le quali spesso possono comportare una particolare allocazione di risorse e quindi implicano la promozione di interessi particolari (legittimi o meno che siano). Avendo entremabi i poteri, il parlamento usa il primo in funzione del secondo, cioè usa la legge per il perseguimento di interessi particolari.

Nonostante gli effetti di questo conflitto d'interessi a monte del parlamento (la mercificazione del voto, la casta, la corruzione, le leggi ad personam e ad personas, i rapporti fra mafia e stato eccetera) siano universalmente percepiti, esso (il conflitto d'interessi a monte del parlamento), in sé, rimane invisibile a quasi tutti: una delle ragioni è il fatto che entrambe, leggi e misure, vengono oggi chiamate con lo stesso nome ('leggi'). In altre parole, il conflitto d'interessi del parlamento in quanto tale rimane invisibile a tutti o quasi a causa del capovolgimento dell'idea di legge che, nata come limite al potere, è diventata strumento di potere (e di fatto è stata universalmente accettata come tale, anche perché è quella che è stata imposta dalla nostra costituzione).

Questo conflitto d'interessi a monte del parlamento produce, da un lato, quello a valle dei detentori del potere politico (individui o gruppi particolari, di destra o di sinistra); dall'altro lato, produce quello, sempre a valle, degli elettori, i quali hanno la possibilità di votare per l'assemblea legislativa in funzione dei loro interessi particolari.

Questo voto di scambio può essere legale (l'impiegato Alitalia che vota per la coalizione che si impegna come governo a non privatizzare la compagnia; il pensionato che vota per la coalizione che si impegna a sostenere un governo che assicuri il programma pensionistico più generoso; l'imprenditore che vota per il governo che gli garantisce sussidi pubblici, eccetera) o illegale (il voto di scambio mafioso), ma in entrambi i casi illegittimo: a livello di principio non c'è infatti una gran differenza, tranne per il fatto che in alcuni casi a questo voto di scambio sono associati nomi altisonanti (di solito aventi il suffisso 'sociale') mentre in altri casi ad esso sono associati nomi giustamente infamanti.

In Legge, Legislazione e Libertà (terzo volume, capitoli 16 e 17), Hayek propone di risolvere il conflitto d'interessi a valle degli elettori risolvendo quello a monte del parlamento. In particolare, egli suggerisce di muoversi gradualmente e spontaneamente verso una situazione in cui i poteri che oggi sono riuniti nella stessa assemblea (il parlamento) siano invece separati fra due assemblee distinte e separate: quella legislativa (che si occuperebbe solo di leggi in senso proprio, senza nessun potere in termini di risorse e senza nessuna capacità di spesa) e quella governativa (che si occuperebbe di misure, e quindi anche di allocazione di risorse, ma in nessun modo di leggi in senso proprio). (Mutatis mutandis, una soluzione simile potrebbe essere applicata a livello locale).

Questa separazione di poteri consentirebbe di togliere il diritto di voto per la sola assemblea governativa a chi a qualunque titolo percepisce denaro pubblico (dal presidente della repubblica al pensionato, dal titolare di concessioni pubbliche a chi si aggiudica appalti pubblici, dall'impiegato pubblico al disoccupato che percepisce il sussidio di disoccupazione) senza che gli sia tolto il diritto di voto per l'assemblea legislativa, senza quindi perdere nulla in termini di rappresentatività legislativa. Questa privazione del diritto di voto per la sola assemblea governativa potrebbe estendersi per un certo numero di legislature oppure per sempre. In questo modo, da un lato, chi si candida alle elezioni per l'assemblea governativa avrebbe meno chances di comprare i voti degli elettori (sia in modo legale che illegale), ma soprattutto queste chances diminuirebbero via via a ogni tornata elettorale successiva in quanto la composizione degli elettori dell'assemblea governativa sarebbe costituita sempre meno da elettori che hanno un conflitto d'interessi e quindi la possibilità di mettere in vendita i loro voti.

La proposta di Hayek (di cui quello a cui ho accennato in modo estremamente superficiale non è che una parte) ha probabilmente dei limiti e probabilmente è migliorabile, ma non eludendo il cuore del problema che essa ha il pregio di identificare e di tentare di risolvere. Cercare di risolvere il problema del voto di scambio, legale o illegale che sia, all'interno del conflitto d'interessi del parlamento (e quindi di quello degli elettori), ricorda il tentativo durato quasi duemila anni di risolvere il problema dell'apparente retrogressione dei pianeti all'interno della visione geocentrica: una mission impossible in quanto l'apparente retrogressione dei pianeti attorno alla terra è prodotta dalla stessa visione geocentrica.

Il 'commissariamento della provincia o della regione' che lei propone , avvenendo all'interno del conflitto d'interessi del parlamento e degli elettori, non è una soluzione nemmeno a breve termine: situazioni di emergenza possono prevedere misure straordinarie, ma se il potere di dichiarare lo stato di emergenza (e la sua fine) e quello di gestire i poteri straordinari che questa situazione di emergenza richiede, risiedono in ultima istanza nelle mani della stessa istituzione, e se la stessa assemblea ha sia il potere di occuparsi di leggi che di misure, siamo da capo e quarantotto.

Dal conflitto d'interessi degli elettori e del parlamento se ne esce diminuendo la concentrazione di potere e l'arbitrarietà, non aumentandoli.

Arrivo alla sua domanda: come è possibile che tutto questo lasci indifferente un paese? Essendo stato educato alla legge intesa come provvedimento dell'autorità (espressione della maggioranza rappresentativa), e che quindi può riguardare anche l'allocazione di risorse e non solo la difesa di principi; essendo stato educato alla legge che esiste in quanto espressione della volontà, della decisione e/o delle opinioni di questa maggioranza; all'uguaglianza davanti alla legge intesa come disuguaglianza legale; alla certezza della legge intesa nel senso di precisione, e non nel senso di impossibilità che cambi; essendo stato educato alla democrazia come regola della maggioranza, per cui se una decisione è presa a maggioranza allora essa è democratica; essendo stato educato a tutto questo, anche attraverso la nostra costituzione, fin dalla nascita della Repubblica, dicevo, c'è davvero da stupirsi cheun paese arrivi ad essere indifferente a individui e gruppi che usano sistematicamente il potere politico per il perseguimento di interessi particolari? In altre parole, essendo stati educati a tutto questo, c'è davvero da stupirsi che la stragrande maggioranza dei cittadini diventino sudditi?

Esiste un'altra idea di legge che non può essere utilizzata come strumento di potere e quindi per perseguire interessi particolari. Sebbene sia quella originaria, essa oggi appare come un controsenso a quasi tutti: questa idea di legge, che non può essere confusa con una misura, non è un provvedimento deciso dall'autorità, ma un principio astratto che esiste prima della legislazione e indipendentemente dall'autorità (Hayek, Leoni, Dworkin), la quale ha il potere di difenderlo e eventualmente di scoprirlo, ma non di farlo: la legge, nel senso originario del termine, non può essere fatta più di quanto può esserlo un albero. Una legge è frutto di un processo graduale, disperso e spontaneo di selezione di usi e convenzioni 'di successo', nel senso che nel tempo hanno dimostrato di contribuire ad aumentare le chances di sopravvivenza della società e si sono trasformate in principio morale (Hume, Hayek). In quanto risultato della selezione delle convenzioni più forti, la legge intesa come principio è in un certo senso la legge del più debole (Ortega y Gasset), mentre la legge intesa come provvedimento (la legge 'fatta'), essendo il risultato della volontà o dell'opinione del più forte (per esempio perché più numeroso), è la 'legge' del più forte, cioè non è legge. La legge è indipendente dalle convinzioni e dalle opinioni degli elettori: se la maggioranza delle persone fosse a favore del furto, del sequestro di persona e del falso in bilancio questo non renderebbe legittimi questi atti e democratica la decisione dell'autorità rappresentativa di permetterli.

Il senso della lontanza dell'idea di legge imposta dalla nostra costituzione dall'idea originaria di legge (dall'idea di legge incompatibile con il perseguimento di interessi particolari) è dato dalla frase 'il parlamento è sovrano' che, invece di impaurire e disturbare, ha il potere di ridurre al silenzio la coscienza delle persone. In una società libera e non corrotta, il parlamento non è sovrano ma servo, servo della legge: "possiamo avere o un parlamento libero o un popolo libero, non tutti e due insieme" (Hayek).

In un sistema dove i legislatori, invece che archeologi (cioè scopritori e difensori di qualcosa che esiste indipendentemente da loro e prima di loro), sono palazzinari; in un sistema in cui le persone non hanno mai avuto l'opportunità di votare per questioni di principio indipendentemente dai propri interessi (e quindi in cui gli interessi possono essere perseguiti indipendentemente da questioni di principio); in un sistema che ha ridotto i cittadini a pecore di cui il governo è pastore (Tocqueville) e ad accattoni che di mestiere fanno gli elettori (Antiseri); in un sistema di questo tipo, basato su un'idea perversa di legge che è opposta a quella originaria (Bastiat, Hayek, Leoni, Popper), c'è davvero da stupirsi che le persone siano indifferenti?

Lei afferma che l'inchiesta di cui racconta dimostra il "fallimento della democrazia in territorio campano". Io le dico che il fallimento della democrazia, in Italia e non solo, è dimostrato dalla risposta alle domande "che cosa è secondo lei la democrazia?" e "che cosa è secondo lei la legge?" fatte a mille o diecimila persone per strada, da Nord a Sud: la sfido a trovarne una sola che sostanzialmente non identifichi la democrazia come quel sistema politico basato sulla regola della maggioranza rappresentativa e la legge con la decisione formalmente e proceduralmente corretta di questa autorità. Eppure, se uno chiedesse a quelle stesse persone se trovano democratica una decisione della maggioranza rappresentativa che decida il colore dei loro indumenti, forse alcune potrebbero, non dico intuire che la democrazia è quel sistema politico in cui le decisioni di gruppo (e quindi la regola della maggioranza), sono ridotte il più possibile e comunque sono limitate dalla legge intesa come principio (e cioè dalla legge che esiste indipendentemente dall'autorità), ma almeno iniziare a nutrire un temporaneo dubbio sulla definizione di democrazia che esse hanno appena dato.


da: http://www.catallaxy.org/LETTER-1-Birindelli-Saviano.aspx
del 13 Luglio 2010

 

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