Autore: a.merenda Topic: Sulle province il PD decide di non decidere  (Letto 1935 volte)

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Sulle province il PD decide di non decidere
« il: 18:50:56 pm, 06 Luglio 2011 »
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  • IL CASO

    Province, centrosinistra diviso
    Renzi attacca il Pd: "Occasione persa"


    Il giorno dopo l'astensione che ha stoppato la proposta di abolizione presentata dall'Idv i democratici si dividono. Il sindaco di Firenze: "Potevamo battere un rigore e non l'abbiamo nemmeno calciato".  Anche Vendola favorevole: "Sarebbe un taglio strutturale ai costi della politica"
     
    ROMA - Da "Non si aboliscono eliminando la parola" a "Occasione persa", il giorno dopo il voto sulla proposta dell'Italia dei valori per l'abolizione delle province 1 il centrosinistra è spaccato. Già ieri il segretario del Pd Pier Luigi Bersani aveva detto che in materia di province "Serve una riforma complessiva". In sostanza, è presto. Una posizione che all'interno del Pd provoca la reazione del sindaco di Firenze, Matteo Renzi:  "A chi mi chiede delle province dico che ieri il pd ha perso un'ottima occasione per dare un segnale al paese". Prosegue Renzi: "Io avevo proposto di abolire le province anche quando ero presidente e non era tema di moda. Ma ieri avevamo da battere un rigore e non l'abbiamo neanche calciato!".

    Donadi(Idv): "Strategia incomprensibile". Dello stesso avviso il capogruppo a Montecitorio dell'Italia dei valori Massimo Donadi. "La politica - ha detto Donadi - ha perso  la possibilità di dimostrare che è capace di tagliare gli sprechi ed intervenire sulle sacche di inefficienza dell'apparato statale. Tagli agli sprechi ed ai costi della politica che sarebbero doverosi mentre gli italiani, lavoratori, imprese e famiglie, pagano il conto di una pesantissima crisi economica, anche a causa di una manovra iniqua". "Anche l'astensione del Pd - ha concluso il capogruppo Idv - ha contribuito a far perdere queste opportunità, con una strategia che risulta francamente incomprensibile"

    Zoggia (Pd): "Non basta la eliminare la parola". Davide Zoggia, responsabile enti locali del Pd, circostanzia la posizione del partito: "Non è cancellando una parola che si risolve il problema del costo della politica", e aggiunge: "esiste una nostra proposta per quanto riguarda il riordino complessivo del sistema delle autonomie locali e delle regioni e in questa si colloca anche quella specifica relativa alle province. Un riordino che non deve e non può avvenire indipendentemente da una nuova e più snella visione dello stato, per fornire così servizi efficienti e non duplicazioni burocratiche. E' facile demagogia tracciare un segno sulla parola province, sarebbe una operazione identica a quella fatta da Berlusconi con le grandi opere". Una posizione però non condivisa da tutto il partito. "Quanto accaduto ieri alla Camera è stato grave", ha detto il senatore del Pd Ignazio Marino. "Avremmo avuto tutto il tempo di riflettere e modulare le norme perchè la legge in discussione ieri era una legge costituzionale che quindi  avrebbe previsto più passaggi in aula", ha osservato Marino aggiungendo: "Dovevamo dire un sì o un no chiaro".

    Vendola: "Assolutamente favorevole". "Io sono assolutamente favorevole al taglio delle Province". E' la posizione del leader di Sel e governatore della Puglia Nichi Vendola, che spiega: "L'idea di approfittare della crisi economico-finanziaria per semplificare i luoghi della decisione a me pare una scelta importante". Vendola  ricorda che Silvio Berlusconi "lo aveva proposto nell'ultima campagna elettorale, una delle sue tante promesse da marinaio". Eliminare le province, infatti, secondo il leader di Sel, "sarebbe un taglio strutturale ai costi della politica" in quanto "c'è oggi tra comuni, aree metropolitane, province e regioni una commistione e confusione delle prerogative e responsabilità".

    da Repubblica.it

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    Re:Sulle province il PD decide di non decidere
    « Risposta #1 il: 10:48:01 am, 07 Luglio 2011 »
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  • La sinistra senza coraggio

    L'astensione del Pd alla Camera sulla soppressione delle province è stato un errore imperdonabile, che significa voltare le spalle al "movimento invisibile" che ha votato alle amministrative e ai referendum
    di MASSIMO GIANNINI
     
    IMMERSA nella nube di "cupio dissolvi" che troppo spesso la acceca, la sinistra ha perso una formidabile occasione. Astenersi alla Camera 1, nel dibattito sul disegno di legge costituzionale per la soppressione delle province, è stato un errore imperdonabile. È come se l'opposizione, dopo aver trovato un prorompente e promettente varco politico dentro la società italiana che ha votato alle amministrative e ai referendum, gli avesse improvvisamente e inopinatamente voltato le spalle.

    Dilettantismo? Opportunismo? Masochismo? Forse tutte e tre le cose. Sta di fatto che la politica, come la vita, è attraversata da fasi. L'esito della doppia tornata elettorale di maggio e di giugno imponeva una scelta inequivoca, che rendesse manifesta la capacità della sinistra di saper "leggere" la fase, e di saperla cogliere con tempestività e mettere a frutto con intelligenza.

    La fase suggerisce l'esistenza di un'opinione pubblica sempre più stanca delle menzogne di un governo mediocre e inaffidabile, e sempre più stufa delle inadempienze di una "Casta" ricca e irresponsabile. Il ddl sull'abolizione delle province era la prima opportunità utile, offerta soprattutto al Partito democratico, per dimostrare di saper stare "dentro la fase".

    C'era in ballo una ragione tattica, innanzi tutto. Tra molti mal di pancia, l'altroieri il Pdl e la Lega hanno votato contro il testo proposto dall'Idv, rinnegando l'ennesima promessa tradita della campagna elettorale del 2008. La soppressione delle province era nel programma di governo del centrodestra, che ora se la rimangia allegramente, non solo rinunciando a cancellare le province esistenti, ma creandone di nuove. Sbarrargli la strada con un voto compatto di tutte le opposizioni avrebbe significato una quasi certa vittoria parlamentare, una clamorosa sconfitta della resistibile armata forzaleghista e un palese disvelamento delle sue contraddizioni interne.

    Ma c'era in ballo soprattutto una ragione strategica. Il "movimento invisibile" che attraversa il Paese (secondo la felice metafora di Ilvo Diamanti) invoca da tempo un sussulto di dignità dall'establishment. Un taglio credibile ai costi della politica (tanto più di fronte all'ennesima burla prevista sul tema dalla manovra anti-deficit da 40 miliardi) resta uno dei temi più sensibili per una quota crescente di opinione pubblica, che subisce con disagio una condizione sociale sempre più dura e insicura e reagisce con indignazione di fronte ai privilegi sempre più intollerabili delle classi dirigenti. Auto blu, aerei blu, stipendi blu, pensioni blu. Tutto è blu, nel meraviglioso mondo del Palazzo.

    Gli italiani chiedono alla politica efficienza, produttività, equità. Le misure appena varate dal ministro del Tesoro non gli offrono nulla di tutto questo. L'abolizione delle province era invece il primo test, sia pure collocato su un piano parzialmente diverso, per dare una risposta a questa domanda degli italiani. Il Pd quella risposta gliel'ha negata. E non ha capito che cogliere un "attimo" come questo è il modo migliore per evitare che monti ancora l'onda dell'antipolitica. È il metodo più efficace per contenerla, senza lasciarsi travolgere e poi essere costretti a subirla e a inseguirla. Com'è successo tante volte alla sinistra, dai girotondi di Nanni Moretti ai raduni di Beppe Grillo.

    Ai riformisti non si richiede l'agio di lasciarsi "etero-dirigere" dalle masse, rifiutando la fatica necessaria di provare invece a guidarle. Il voto favorevole alla soppressione delle province poteva essere motivato senza cedimenti al populismo e al qualunquismo, perché la buona politica non deve mai ridursi a un'alzata di mano o alla x su una scheda. Il Pd aveva strumenti per inquadrare quel voto in uno schema di riordino complessivo dell'architettura istituzionale, dove non si punta a picconare a casaccio un sistema di autonomie locali codificato dalla Costituzione. Quello che non doveva fare è trincerarsi dietro la difesa di questo sistema, per giustificare la sua codina astensione. Ed è invece esattamente quello che ha fatto. Legittimando così i peggiori sospetti di chi vede in questa mossa malsana l'intenzione malcelata e maldestra di salvare le solite guarentigie e le solite poltrone.

    Le province italiane sono 110. Costano al contribuente circa 17 miliardi di euro, cioè quasi la metà dell'importo della stangata a orologeria di Tremonti. Le presidenze di provincia occupate dal Pd sono 40, contro le 36 del Pdl, le 13 della Lega, le 5 dell'Udc. Tutti tengono famiglia. Ma se la sinistra non ha la forza e il coraggio di dimostrare agli italiani che non tutti sono uguali, la partita dell'alternativa non comincia nemmeno. Siamo fermi a Nenni: le piazze si riempiono, ma le urne si risvuotano.


    da Repubblica.it

     

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