Autore: a.merenda Topic: Europa, nuovo piano Marshall: dalla follia di quali dittatori dobbiamo ricostrui  (Letto 2081 volte)

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di Lidia Undiemi, economista di Wall Street Italia


L’evento spiacevole da cui scaturì lo storico piano Marshall fu la seconda guerra mondiale, dopo la quale occorreva ricostruire dalle macerie causate da folli conquistatori.
A distanza di più di 60 anni la Commissione europea propone un piano di investimenti attribuendogli lo stesso nome, rievocando in tal modo il periodo post bellico. Ma da quale “guerra” oggi dobbiamo ricostruire? Chi sono i “dittatori” che l’hanno voluta?
Queste sono le imponenti domande a cui i politici dovrebbero rispondere, ma probabilmente non lo faranno e dunque tocca a noi provare.
Anzitutto la “guerra” scatenata dalla finanza speculativa è ancora in corso, continuano ad arrivare le “bombe” (operazioni speculative) ma non si capisce bene chi le lancia. La politica, piuttosto che mobilitarsi per capire chi è il nemico da ostacolare al fine di bloccare i continui “bombardamenti” chiede ai cittadini di cedere i propri “mattoni” (liquidità e altre risorse) per ripristinare i “palazzi” (conti) pubblici, nonostante sia ormai abbastanza chiaro che nel corso della ricostruzione arrivano attacchi ciclici che costringono, ormai da diversi anni, la collettività a ripartire in condizioni sempre più disastrose.
E poi chi ci assicura che la ricostruzione non vada nelle mani dei “dittatori bombardieri”? E’ questo, d’altronde, l’obiettivo delle “guerre”: distruggere un sistema sociale per imporre il proprio dominio, per diventare proprietari di ciò che precedentemente apparteneva ad altri.
Eppure i mass media continuano sostanzialmente a ribadire un fatto ovvio, ossia le conseguenze dell’attuale “guerra” economica e al massimo pongono l’attenzione sul recupero di altri mattoni, ma quasi nessuno osa tentare di aprire il dibattito sulle cause di tale disastro.
Adesso arriva il nuovo piano Marshall con una dotazione di circa 200 miliardi di euro da investire in alcuni dei settori produttivi più importanti della nostra economia: energie rinnovabili, tecnologie avanzate e chissà cos’altro. Un grande camion pieno di mattoni. A chi appartengono queste risorse? Cosa vogliono in cambio?
La “guerra” non è finita e le “basi militari” sono più attive che mai e non è ancora chiaro chi le comanda e, soprattutto, cosa e chi avrebbero sconfitto i leader europei per arrivare al punto di discutere di un progetto dall’indubbio valore simbolico.
Il via libera al piano potrebbe arrivare in occasione del Consiglio europeo di fine giugno e i mezzi finanziari annunciati per la sua attuazione sono gli eurobond, i project bond e il fondo “salva-stati”.
A parte i noti problemi speculativi e la necessaria attesa di ulteriori dettagli sulla strategia di investimento, vale la pena intanto fare alcune riflessioni sulle possibili ripercussioni che l’utilizzo di tali strumenti potrebbe avere sulla vita democratica delle nazioni coinvolte.
In primo luogo si consideri che nessuno regala soldi ai paesi in difficoltà. Basti pensare che l’accesso al fondo “salva-stati” avviene mediante l’erogazione di un prestito al paese che ne fa richiesta, quindi si tratta di investimenti “a debito” dietro il pagamento di un tasso di interesse che non è di certo quello privilegiato dell’1% concesso dalla BCE alle banche.
Le notizie di stampa purtroppo non sono sufficientemente chiare al riguardo; talvolta ci si riferisce all’EFSM definendolo meccanismo di stabilità finanziaria permanente, che è invece l’ESM, mentre il primo é il fondo momentaneo nato per fornire assistenza all’Irlanda e al Portogallo.
Non è escluso che si faccia attenzione a nominare l’ESM poiché per la sua entrata in vigore non è stata ancora concessa la ratifica dalle istituzioni nazionali.
Ad ogni modo, né i 10 miliardi di project bond con l’intervento della BEI né i possibili 12 miliardi del fondo (o dei fondi) “salva-stati” sono chiaramente sufficienti a coprire il fabbisogno finanziario del piano. A questo punto è probabile che a fare “da padrone” saranno i grandi investitori privati, le banche e la Cina.
Se poi si considerano i rischi di perdita di sovranità insiti nell’operatività del fondo “salva-stati/ESM” ed i privilegi dell’immunità e della inviolabilità degli atti relativi alle operazioni finanziarie legate all’organizzazione intergovernativa (sempre ESM), ci si rende agevolmente conto che il nuovo piano Marshall difficilmente potrà trovare effettiva attuazione in favore della collettività, mentre non è escluso che i 200 miliardi di “mattoni” potrebbero diventare il mezzo per far costruire delle “strutture” in favore degli stessi investitori (possibili “nemici”) e non per ricostituire e rimettere nelle mani dello Stato il “bene pubblico”.
Ciò dipende principalmente da chi saranno i finanziatori e da come verrà realizzato il passaggio dalle risorse da questi a coloro che di fatto gestiranno le attività cui sono indirizzati i finanziamenti, ammesso che siano diversi.
Si andrà verso un governo “pubblico” e più responsabile delle risorse strategiche per le nazioni oppure si spingerà verso un ulteriore affidamento ai poteri “privati” della produzione dei beni e dei servizi essenziali per il rilancio dell’economia mediante appalti e finanziamenti pubblici favorendo, in quest’ultimo caso, l’andamento ciclico della crisi?
Attenzione, con questo non si vuole dire che l’affidamento ai privati di gran parte delle attività significhi necessariamente crisi, ma semplicemente che l’attuale sistema economico è governato dalla finanza speculativa e dalla corruzione politica, e non certo dal libero e sano mercato.
Occorre anzitutto predisporre un serio quadro normativo a difesa dell’economia reale, dei veri imprenditori e dei lavoratori prima di lanciare nuovi investimenti. Spiegate ai cittadini chi è il nemico e come sconfiggerlo piuttosto che continuare ad indebitarli.

da: http://www.indimedia.it/?p=7744

 

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