Autore: SC Topic: Quando a Palazzolo producevano gassose...  (Letto 2905 volte)

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Quando a Palazzolo producevano gassose...
« il: 11:00:47 am, 07 Settembre 2013 »
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  • Paolo Merlino mi ha dato la possibilità di fotografare una cosa interessante:

    un tappo

    perchè interessante?

    perchè testimonianza di quando esisteva a palazzolo una fabbrica di gassose con il marchio di fabbrica.

    una testimonianza di un passato industriale che sarebbe potuto diventare futuro.

    ecco a voi il tappo di pino giuseppe made in palazzolo:



    ed ecco la Testimonianza di qualche anno fa sul corriere degli iblei di Nello Blancato, suggeritami da Alessio suo figlio
    Citazione
    …Si lavorava con lunghi e robusti guantoni di gomma e con una maschera da scherma…

    C’era una volta una fabbrica di gazzose in via Nicolò Zocco n.12

    di Nello Blancato

    PALAZZOLO. La piccola fabbrica di Pino, era ubicata in via Nicolò Zocco, a calata re cazzusi, al n.12, appena all’inizio della discesa, dentro la piccola bretella a destra. La gazzosa, composta da acqua, zucchero, acido citrico e aromatizzata al limone veniva saturata, con l’aggiunta di anidride carbonica, in bottigliette da 200 gr con chiusura a tappo meccanico.

    LE GAZZOSE CON LA PALLINA DI BOSCO
    Nell’immediato dopoguerra erano però ancora in voga le gazzose con la pallina e a Palazzolo erano di grido le gazzose di Bosco, uno stagnino che faceva anche il cazzusaru. La pallina di vetro, a mano a mano che la bottiglietta veniva riempita di acqua e anidride carbonica, per effetto della pressione di quest’ultima saliva verso l’alto e andava a chiudere perfettamente l’apertura conica. Per stappare bastava fare pressione con un dito sulla biglia e questa andava a fondo permettendo la fuoriuscita del liquido.
    A parte le gazzose con la pallina, di Bosco, quei Palazzolesi che hanno più o meno la stessa età di chi scrive, si ricorderanno senz’altro della figlia Paolina, bedda, sciaquata, dai capelli rossi splendenti e lunghi, tanto lunghi da accarezzarle i muscoli antigravitali: con il suo sinuoso incedere, al Corso, deliziava gli sguardi dei maschi di tutte le età. Gli stessi si ricorderanno probabilmente della sordità totale di Bosco. Il poveretto era sordo spaccato e chi voleva farsi sentire da lui doveva spolmonarsi. A tal proposito, ancora oggi, a Palazzolo la frase di rito quando qualcuno parla a voce troppo alta è: “Ie chi siemu ‘nta casa i Boscu!?”. Qualcun altro ancora, forse si ricorderà di quella volta in cui Bosco con il suo carrittulu trainato dall’asino e carico di gassose con la pallina stava tranquillamente calando da via Maddalena seduto su una delle due aste del carrettino. All’improvviso l’asta, infradiciata, si spezzò in due facendo cadere col sedere a terra il malcapitato, mentre centinaia di bottigliette e palline rotolarono per il Corso, lo attraversarono, e imboccando il secondo tratto di via Maddalena, si fermarono sotto il cuesu dei Costa.

    LA FABBRICA DI VIA NICOLO ZOCCO
    La fabbrica di Pino era composta da un solo locale dove erano piazzate le macchine e da un altro piccolissimo vano che fungeva da magazzino di stoccaggio. Attraverso un pozzo luce interno si accedeva poi al forno a pietra di don Franciscu, meta di incessante viavai di donne alle prese con il pane.
    A sinistra della porta, sotto la finestra, c’erano due grandi vasche per il lavaggio delle bottiglie: dopo l’ammollo in acqua e soda, si lavavano a mano, una per una, con lo spazzolino “turbine”. Le bottiglie pulite, sistemate in cassette da 25 o da 50, passavano all’altro “reparto” pronte per essere sciroppate. Si doveva essere in due: uno con il misurino, attingeva lo sciroppo da una cannata e lo versava dentro l’imbuto; l’altro spostava l’imbuto da una bottiglia all’altra. Più tardi, questo sistema fu rimpiazzato da una rudimentale “sciroppatrice” consistente in una pompa a stantuffo montata su un cavalletto di legno: alzando la leva, un tubo in gomma pescava lo sciroppo dal bajnu; abbassandola, la dose fuoriusciva da un altro tubo mobile che veniva fatto entrare ed uscire da una bottiglia all’altra; e però bisognava essere sempre in due.
    Le due macchine riempitrici, quella per le gazzose e quella per i sifoni, erano piazzate di fronte alla porta la prima, a destra la seconda. Dietro c’era la saturatrice che aveva la funzione di miscelare l’acqua con l’anidride carbonica. Il gas, era contenuto in grandi bombole e veniva estratto a Mofeta dei Palici, un importante giacimento di anidride carbonica in territorio di Caltagirone.
    L’acqua saturata arrivava alle due riempitrici. Qui si lavorava con lunghi e robusti guantoni di gomma e con una maschera da scherma, di rinforzo alle mascherine di cui erano dotate le macchine, e questo per proteggersi dai frequenti scoppi del vetro che spesse volte non resisteva alla pressione del gas che raggiungeva anche i 7 volumi di CO2, specialmente nei sifoni con l’acqua sessa.
    Alla macchina dei sifoni, dal vetro blu turchese o verde, si lavorava all’impiedi:  attraverso un gioco sincronizzato tra il pedale e due leve a mano si immetteva, attraverso la cannula, l’acqua fortemente gassata dal caratteristico sapore acidulo frizzante.
    Alla macchina delle gazzose si lavorava seduti. Le bottigliette, avevano la chiusura con tappo meccanico: un sistema costituito da filo d’acciaio, porcellana (sulla parte piatta veniva impresso il logo della ditta) e guarnizione in gomma. Il riempimento avveniva in due tempi e sempre sincronizzato con il pedale e due leve manuali. Appena il liquido dentro la bottiglietta raggiungeva il giusto livello, si abbassava il pedale si interrompeva il flusso di acqua saturata e quindi si chiudeva istantaneamente la bottiglia azionando il tappo meccanico.     

    IL GIRO DEI CLIENTI

    Le gazzose, per mezzo di un carruozzu a spinta umana, venivano distribuite nei bar (qui si distribuivano pure i sifoni), nelle osterie, nelle botteghe di generi alimentari. Nel 1949 una fiammante Ape mandò a riposo la piccola carretta. Grazie alla Lapa e all’entrata in funzione dell’acquedotto comunale nel 1951, la produzione di gazzose si incrementò parecchio, tanto da varcare i confini comunali e approdare a Buscemi, a Cassaro, a Ferla, a Buccheri.
    Il periodo di lavoro più intenso era durante la stagione estiva e il clou si raggiungeva per le fiere e le feste di San Paolo e di San Sebastiano, quando improvvisati venditori locali, piazzati in punti strategici, smerciavano gazzose fresche di ghiaccio, a tutta birra. Nelle osterie le gazzose si sposavano così bene al vino da far diventare un classico la frase mienzu litru ca cazzusa.
    Il vuoto era rigorosamente non a perdere. Non si lasciava la cassetta con il pieno, se non era pronto il cambio con il vuoto. Le bottigliette, svuotate, erano però una trappola mortale per le mosche, irresistibilmente richiamate dai residui di zucchero. Dai clienti, che avevano una vendita assai limitata di questa bibita, ad esempio ‘nta Rappitedda in piazza San Michele, le bottiglie vuote stando per troppo tempo in deposito finivano con il riempirsi fino al collo di mosche, mosche kamikaze sì, ma contente di morire con la pancia piena.
    Intanto incalzava il progresso. I tappi a chiusura meccanica, non dando più requisiti igienici e di sicurezza del prodotto, erano stati soppiantati dai tappi a corona “usa e getta” brevettati negli U.S.A. nel lontano 1892. Agli inizi degli anni ‘60 fu impiantata allora una fabbrica nuova di zecca in via C. Alberto ai numeri 48 e 50. Nel giro di un mese un tecnico della RIVI di Milano riuscì a mettere in produzione le nuove macchine: lavabottiglie ad acqua calda con spruzzature a pressione, saturatrice automatica, sciroppatrice - riempitrice - tappatrice a corona automatica con riempimento a pressione diretta. Il locale era attrezzato di spogliatoio, servizi con doccia, magazzino per lo stoccaggio e così via dicendo. Oltre alle gazzose si producevano aranciate, limonate, chinotti, cola, bastava solo alternare gli sciroppi aromatizzanti.
    Ma la Coca Cola aveva già invaso il mercato italiano e incominciavano a cambiare i gusti della gente. La gazzosa, la bevanda più consumata negli anni ’40 e ’50, fu messa da parte e la nuova fabbrica dopo qualche anno chiuse i battenti.
    Oggi la gazzosa, ritornata nuovamente in auge, quasi sempre si chiama Sprite o Seven Up, ma non è la stessa cosa.
    « Ultima modifica: 11:07:49 am, 07 Settembre 2013 da SC »
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