Autore: negi Topic: Riflessioni sull'antimafia siciliana all'indomani del Premio Fava 2010  (Letto 2241 volte)

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Offline negi

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Capita che un giorno,una mattina,ancora assonnacchiata nel letto e colma della stanchezza accumulata nei passati giorni,arrivi una telefonata nel cuore del dormiveglia da cui non vuoi,ma sai di dover uscire.
Capita così che sonno,stanchezza,ti facciano rispondere quasi con un sissignore militare all’interlocutore sintetico e deciso che dall’altro lato del telefono,ti dica di tracciare un ritratto dell’antimafia siciliano all’indomani del Premio Fava giovani 2010.
Capita che riattacchi il telefono e via via che i neuroni si svegliano,riconnettendosi l’uno con l’altro,ti diano la percezione di quanto accaduto.
Capita che realizzi cosi che il Premio Fava giovani 2010 è passato, veloce come lo scatto di un’istantanea;rapido sì ma duraturo nella costruzione interna che ha edificato dentro. Realizzi che ci hai lavorato su per mesi ,dandogli,come si fa con la propria creatura, tutta l’anima e la protezione da ogni cosa, cullandolo come un bimbo appena nato. Restano la stanchezza,il sonno da recuperare,i conti da fare,e ,nell’animo ,sensazioni miste:la gente che hai incontrato,quella che ti ha lasciato un segno dentro,uno spunto,una riflessione.Quella che hai conosciuto bene,quella che hai solo salutato di sfuggita e resta quel qualcosa da scrivere per l’interlocutore telefonico delle 8 del mattino.
Lo si potrebbe chiamare un “articolo” ,un “pezzo” di 3000 battute per noi che di penna facciamo vivere l’anima e che con la penna vorremmo tracciare un mondo di verità,ma 3000 battute son ben poche per chi quel premio lo ha pensato e plasmato,per chi in quel premio ha visto ben oltre le parole,oltre i dibattiti ,oltre il teatro..e poi,sarebbero comunque 3000 battute senza oggettività e con quello stesso sentimento in più che se fossimo nell’aula di un rigido tribunale della legge ,impedirebbe , proprio per quel coinvolgimento personale, ad un padre bonario di accusare il proprio figlio,o ad un avvocato di fare insieme il pm e il difensore.
Insomma,capita che scrivi anche più di quelle 3000 brevissime battute che ti hanno richiesto e te ne freghi pure,ma, capita pure di rileggerti e capire che non riesci a farlo secondo l’insegnamento di Pippo Fava, di quell’uomo che 5 colpi di pistola hanno atterrato in nome di Cosa Nostra,dei boss catanesi, dei cavalieri del lavoro,della denuncia, delle collusioni varie a vari livelli. Pensi solo che nel frattempo sono trascorsi 26anni e superficialmente dici a te stesso che in fondo oggi siamo più tranquilli di allora: non ci spariamo addosso con le pistole né imbottiamo di tritolo le nostre strade,o,almeno,non lo facciamo più come 30anni fa.
Non sentiamo più parlare di morti ammazzati,di giornalisti morti ammazzati,di imprenditori assassinati,poliziotti sparati, giudici saltati in aria. Insomma,sembra un’isola più felice la Sicilia di oggi,la Sicilia senza Fava,che osanna alla debolezza della mafia ,mentre ,soffuse,sotterranee, si consumano le stesse storie e gli stessi intrecci di quel romanzo giallo, quasi fantascientifico che negli articoli de “I Siciliani” si poteva leggere a denuncia di una società anni ‘80 un po’ diversa ma sempre incredibilmente gattopardiana : ”cambiare tutto perché non cambi nulla”.
Una società,quella siciliana, che attende risposte:che cerca un’agenda rossa forse inesistente,forse sparita,chissà. Che si affida al Ciancimino di turno,alle testimonianze di Raccuglia e di pentiti vari ed eventuali mentre sulle coste continuano gli sbarchi clandestini e per i campi delle provincie “babbe” di Ragusa e Siracusa, si consuma un’altra Rosarno. E intanto i traffici,gli illeciti, i giochi di potere continuano ,ora come allora, nel silenzio dei media che tacciono e dei giornalisti che tacciono. E pensi che in fondo,tra laboratori del’informazione,giornalisti e politici,e dibattiti e teatro ,a questo premio Fava,non ci si è raccontata memoria.Ci si è raccontata,forse, una verità senza compromessi;”a schiena dritta” come lo era Fava,come lo sono adesso tanti altri artigiani della parola,che la parola non vogliono modellare né dosare come farmacisti. E così,in queste famose 3000 battute non si possono incastonare quei gioielli che sono queste vite donate ad un’ideale di verità. C’è chi ha la scorta dietro o, temerario, l’ha rifiutata. C’è chi lavora la sera come cameriere e il giorno come giornalista e non sta a chiedersi,dopo 20anni così, perché non ha scelto un’altra attività. C’è poi chi,andando alla Rai o a Repubblica o al Fatto,non ha dimenticato la dote del cronista vero,le lotte de “I Siciliani” e i compagni di avventura di quel periodo in cui Fava c’era e lottava. A leggere così i profani penserebbero a giornalisti davvero sfigati e di poca dote.E invece no:sono coloro che il giornalismo vivono con etica,con passione, e come autentico servizio,con quella verità che porta a sacrificare delle vite da impiegati al giornale in nome di ideali più alti. Ti accorgi che fare il giornalista ,il giornalista vero che cerca la verità per allertare la pubblica opinione ,può diventare una missione più folle e pazza di quella del paracadutista:senti in coscienza l’irrefrenabile vocazione al risveglio delle coscienze di cui un insieme ordinato di parole può essere veicolo . Se poi,oltre che giornalista dalle domande scomode,sei anche antimafioso,non esistono davvero paracaduti che possano salvarti dalla forza dirompente delle tue stesse parole. ,proprio come per Fava.
E in fondo ti accorgi che questa convention di gente “folle” è la festa del giornalismo che Fava,forse, avrebbe voluto. Ci si abbraccia,ci si ritrova tra compagni di battaglia. E’ la guerra contro tutte mafie che viene combattuta a suon di giornali ma è anche la battaglia contro la mafia nell’informazione e dell’informazione che si tenta di vincere. Orioles che è il Capitano Maggiore di questi scontri,lo sa bene:lui che continua sulla stessa scia di Pippo Fava, raduna giovani ,fa nascere testate e giornalisti antimafia sempre convinto che nulla atterrerà mai l’informazione vera. E con lui ,a questo premio, cronisti ,attori minacciati, e politici che si impegnano nella lotta alla criminalità;sembra davvero un ritrovo di forze all’arrembaggio.
Il pensiero ritorna all’interlocutore delle famose 3000 battute che sono diventate dieci volte tanto nell’entusiasmo incontenibile che un evento così lascia:ripensi a quell’isola felice che è diventata la Sicilia dei giornali di oggi e inizi a pensare..
Perché,se viviamo nell’isola felice,bisogna affidarsi a Telejato, a Pino Maniaci e alle sue inchietse che denunciano i boss e la malavita locale tramite la sua tv di provincia?
Perché,se viviamo nell’isola felice,capita ancora che un giornalista come Carlo Ruta,veda chiuso il proprio blog e capita che Marco Benanti veda “sequestrato” il proprio giornale e licenziato dal suo “altro”lavoro per via di una pratica giornalistica “scottante”?
Perché, se viviamo nell’isola felice,Antonella Mascali o Pino Finocchiaro ,giornalisti emigrati al servizio del Nord e di grosse aziende ,debbano ammettere timidamente che altrove è diverso che in Sicilia?
E perchè, parlare di Mafia in teatro,deridere il mafioso e condannarlo, ha significato minacce e una scorta come per il vincitore del 2010 al Premio Fava ,Giulio Cavalli ?
Forse perche,come dice proprio Giulio, nel suo monologo su Fava, viviamo piuttosto “nell’isola delle parole non dette”,dei fatti accaduti ma non ben raccontati ,ma dove Pippo Fava “ha costruito le case di marzapane” più resistenti della città. Case di parole e di pensieri che il tempo sembra avvalorare e non sminuire.
Sì perche Pippo non c’è più,ma il suo insegnamento è vivo nei giornalisti dalla schiena dritta di oggi,nei giovani che accanto ai più vecchi,continuano a lottare con una resistenza fatta di parole,di quella stampa d’inchiesta oramai rara, di parole di quei giornalisti senza giacca e cravatta né redazione potente alle spalle e che vanno tra la gente a tastare il sapore del vero.
E capisci che le parole sono flebili,fisicamente inconsistenti ,ma sono davvero case di marzapane di tempra dura.
Avrebbe gioito Pippo,e con lui ,gli altri sette giornalisti uccisi dalla mafia in Sicilia,nel vedere che il giornalismo vero non è morto e che per ogni morto ammazzato nascono 1000,10000 germogli verdi,giovani e robusti,pronti a dare forza a quei pensieri, su cui si muovono oggi le gambe di questi uomini di penna.
Gabriella Galizia

 

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