Il termine “
campata”, è usato in architettura per definire lo spazio che si trova fra due o più elementi portanti di una struttura.
Ma lo stesso termine, “
a campata” in siciliano indica mantenersi, stare in vita.
Se poi aggiungiamo l’aggettivo “
tranquillo”, indichiamo un voler vivere, o addirittura un voler essere senza pensieri. In taluni casi, assume la caratteristica del farsi volere bene o del vogliamoci bene, quando esiste una forte e consolidata “
simbiosi mutualistica”, convenienza reciproca, tra le parti in causa.
Da qui, “
cu si fa i fatti suoi campa cent’anni“. Cioè nel corso di una “
campata tranquilla” si può anche ottenere qualche briciola, per se, sotto varie forme, per alcuni casi eccezionali, ottenere molto.
[…] … i giovani, per un infinità di motivi, hanno raggiunto livelli di conoscenze specifiche assolutamente eccelse, in tutti i settori. Però rimangono fortemente ancorati, nella stragrande maggioranza, ad una serie di luoghi comuni, in primis la “campata tranquilla”, per cui di fatto quasi inefficaci nel loro rapporto con la città, ma senz’altro individualmente “
efficacissimi”. Per cui, spesso, assolutamente assoggettati ed incapaci di esprimere uno spirito critico pubblicamente.
… nella
“campata tranquilla”, da un lato, dalla parte dei cittadini, non si vuole dissentire, perché fa comodo, determina uno stato di convenienza con risultati assicurati, e dall'altro, dalla parte delle istituzioni, il dissenso viene dipinto solo come un modo con il quale si vuol passare dalla “
campata tranquilla” alla “
campata più migliore” individuale.
[…] Quindi, sottovoce mi pongo alcune domande:
“
E’ meglio” una “campata tranquilla” o essere protagonisti del nostro tempo?
“
È entusiasmante” vivere in una città apparentemente tranquilla, ma impaurita, della quale si nascondono le “cose brutte”, e si paga per mostrare “le cose belle”?.
“
E’ meglio” una città capace di mostrarsi in tutte le sue espressioni autonomamente, o deve necessariamente proporsi all’interno di una cappa culturale e seguire un inevitabile omologazione ed inquadramento, subordinati, oggi, ad un viaggio di sola andata chissà per dove.
E se le nostre città sono incapaci, per ragioni storiche, di “svegliarsi dal proprio letargo” non può e non deve essere proprio l’istituzione ad occuparsi di questo risveglio? … “come un adulto che prende in mano un bambino, sullo sfondo una città... le nostre”.
E con questo mi (auto)taccio, altrimenti diventa (auto)lesionismo, per un duplice motivo. Il primo per evitare di trovarmi in una “
campata difficile” (se già non ricopro questo status (ci sono)) senza passare dalla “
campata tranquilla”. Il secondo, perché a 46 anni, meglio tardi che mai, ho capito che quasi tutti e ovunque, preferiscono, esaltano e sostengono, la “campata tranquilla”, con tutto ciò che comporta, ed ogni tipo di invito alla riflessione, volto a cambiare ed a cambiarci, appare assolutamente inopportuno, fuori luogo e finanche frutto della fantasia di qualche esaltato, che magari non ha capito nulla della vita.
Riletto, confermato e sottoscritto.
Paolo Giardina
Questo articolo, in parte modificato, è stato pubblicato in originale il 29 luglio 2012 su Canicattivi.
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