Egregio sign Tomasi,
la problematica delle culture biologiche ha sicuramente a che vedere con un Parco Nazionale e specificatamente con il Parco Nazionale degli Iblei.
Non per nulla, con il sign. Caligiore in testa, uno dei motivi della avversione a questo parco è quello della coltivazione bilogica nella futura da individuare zona C.
Come è noto, la prassi nei Parchi istituiti vuole che si rispetti sì la norma di legge ma gradatamente, con il convincimento, con gli incentivi per riconvertire al biologico parte della agricoltura degli iblei.
Come Lei sa, una delle idee non certo per scopi personali ma per l'economia del nostro bel territorio ibleo, è quello di impiantare, nella nostra valle di cui entrambi siamo dirimpettai, ma anche altrove, dei vigneti per produrre vino di qualità.
Lei stesso ha affermato che il vino biologico ha trovato grande sbocco nei mercati mondiali con la conseguenza che nel caso in cui dovesse affermarsi questa idea di uno " che non conta nulla", la istituzione del Parco nazionale degli blei non interferirà su quella scelta, bensì la favorirà facendo venire meno, sin da ora, una delle bufale intercorse.
Lei mi ha chiesto:
"se in Spagna ci sia stato un balzo in positivo della produzione di coltivazioni biologiche grazie alla creazione di nuovi parchi nazionali" ed altresì:
" A proposito di spagna, sa dirci in percentuale quante coltivazioni biologiche sono all'interno dei parchi e quante no, ha pure i numeri dell'Italia?".
Ed io le rispondo non lo so, contribuendo in questo modo a farmi appellare da S.C. quale " ignorante che non ha dati".
Poichè quei dati non reggevano le mie considerazioni sul biologico, ma erano solamente delle disquisizioni su una cultura biologica, non mi preoccupo.
Alcune notizie li ho tratte da Internet e li riporto:
" Il Vino del Parco Nazionale del Cilento I vitigni locali, introdotti ad Elea ed a Paestum dagli antichi colonizzatori greci, trovano nella natura argillosa-calcarea del terreno e nel clima della zona le condizioni per esprimere al meglio la propria personalità. Le viti producono pochi grappoli, dai quali si ottengono vini di eccellente qualità, che si abbinano perfettamente alla cucina tipica cilentana: "povera", semplice, ma gustosissima.
II territorio del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano include ben due delle denominazioni enologiche del territorio campano.
Le denominazioni sono relativamente recenti, ma certamente destinate a connotare progressivamente il paesaggio rurale e a creare una tendenza di sviluppo molto significativa. Quelle che ricadono in questo areale produttivo sono: la DOC Castel San Lorenzo e la DOC Cilento. Le denominazioni tutelano le caratteristiche produttive di queste zone, espresse con uve presenti da decenni e quindi considerabili tradizionali, come: Barbera, Sangiovese, Trebbiano e Malvasia. A queste si associano uve locali come: Aglianico, Greco e Fiano, già localmente denominato Santa Sofia.
DOC Castel San Lorenzo
La denominazione di origine controllata Castel San Lorenzo si estende interamente nei terrtori dei comuni di Castel San Lorenzo, Felitto e Bellosguardo e in parte dei comuni di Aquara, Castecivita, Roccadaspide, Magliano Vetere e Ottati. Le condizioni pedoclimatiche hanno reso queste zone adatte alla coltivazione della vite da tempi remoti e il disciplinare ne tutela le specificità colturali e ampelografiche preesistenti. I vini prodotti con tale denominazione sono il Barbera, il Rosso, il Bianco, il Rosato e il Moscato nelle versioni Spumante e Lambiccato, derivato da tradizionali sistemi di vinificazione. Le rese massime in vigna sono di 100 quintali per ettaro per i Rossi, i Rosati e la Barbera e di 120 per i Bianchi. E' consentita la dicitura riserva per il vino Barbera, dopo un sufficiente periodo di invecchiamento in legno e un grado alcolico di almeno 11,50.
DOC Cilento
La denominazione di origine controllata Cilento, comprende un vasto territorio nella provincia di Salemo (ben 58 comuni). E' stata istituita nel 1989 per tutelare un consistente numero di vini prodotti in zona con uve diffuse in Campania fin dall'epoca romana. Oltre all'Aglianico troviamo il Bianco, il Rosato e il Rosso. La produzione massima di uva non deve superare i 100 quintali per ettaro; la resa di uva in vino è del 70 per cento e scende al 50 per cento nel caso dell'Aglianico". da " il portale internet del cilento".
Così come in territorio del parco del Gargano i vini di Vico e di Monte sant'Angelo.
http://www.vieste.it/puglia/gargano/prodotti-tipici-gargano.htmTutti vini che si pregiano del marchio di ciascuno dei rispettivi parchi.
Ma non solo vini.
Ed a proposito del contenuto di questo ultimo link mi piace sottolineare:
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Inoltre, il Parco Nazionale del Gargano insieme alle aziende agricole ed agrituristiche del territorio ha istituito "Biogargano", un consorzio misto, nato con l'obiettivo di valorizzare e promuovere i prodotti tipici e quelli da agricoltura biologica dell'area del Gargano".Ed altresì:
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I cinque prodotti selezionati da Slow Food sono stati inseriti nell'Atlante dei prodotti tipici dei parchi italiani insieme ad altri 194 prodotti. Un modo, questo, per riscoprire e valorizzare il ricco patrimonio eno-gastronomico del Gargano e delle aree protette italiane " Così come lo Sciacchetrà, prodotto nel territorio del Parco delle cinque terre e che una bella signora a bordo di un elicottero ieri nella trasmissione televesiva " Linea Verde| ne ha rivendicato l'attenzione a cura di quell'Ente Parco così come i chilometri di terrazzamementi con muri a secco che sono stati ripristinati con in contributi di quell'Ente.
Ed ecco il motivo del mio riferimento al vino biologico.
Il sign. " sebyali", al quale continuo a ricordare che l'Accademia dei Georgofili non ha mai paventato rischi di perdita di posti di lavori nei Parchi nazionali, ha pubblicato un link a firma di Matteo Fusilli ove si legge:
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Molte volte, da parte di nemici dichiarati, ma anche di giganti solitari dell’ambientalismo, si tende a presentare la vicenda dei parchi come un processo elitario, che ha come protagonisti minoranze evolute contro maggioranze disinformate e spesso rumorose.
In parte è andata così e un ruolo decisivo lo hanno avuto sicuramente singoli studiosi, rappresentanti di associazioni, organi di stampa nazionali e locali, singole personalità della cultura e della scienza.
Ma nei territori coinvolti direttamente dall’istituzione dei parchi vi è stato un confronto di idee e interessi contrapposti e uno scontro, in alcuni casi anche fisico, sul futuro di quelle aree che hanno visto la partecipazione diretta di migliaia e migliaia di cittadini. Questo confronto può essere paragonato, per l’intensità del coinvolgimento politico e culturale, anche se in scala minore, alle grandi passioni che si sono manifestate a livello nazionale in occasione dei referendum degli anni ’70. Molti di coloro che avevano dato vita a quel movimento, “la generazione della 394”, si ritrovano negli anni successivi ad amministrare e dirigere i parchi.
Il sogno della costituzione dei parchi può diventare realtà. Ha inizio, tra mille contraddizioni, una fase “garibaldina”, con le intese sulle perimetrazioni, l’istituzione dei nuovi enti, la nomina degli amministratori, il coinvolgimento delle popolazioni, il rapporto finalmente positivo con le comunità locali e con gli operatori economici, i primi progetti di conservazione.
I parchi crescono, si affermano, dimostrano che è possibile integrare ambiente e sviluppo, rendono visibili i territori, sollecitano orgogli locali, voglia di stare insieme, capacità di “riguardare i luoghi”, nel senso di averne riguardo e di riconoscerne il valore.
Oggi i parchi italiani rappresentano una realtà importante, un punto di qualità del nostro Paese in ritardo su molte altre rilevanti questioni ambientali, ma che è, nel sistema internazionale delle aree protette, un’esperienza originale, innovativa e anche molto apprezzata nei consessi mondiali.
Non voglio dare i numeri delle aree protette italiane che interessano il 12% del territorio nazionale, ma è bene sapere che esse assicurano al nostro Paese il primato europeo per la biodiversità, tutelano alcune delle più grandi riserve di acqua dolce d’Europa e custodiscono la gran parte dei boschi e delle foreste del nostro paese.
Le aree marine protette italiane tutelano e valorizzano un patrimonio ecologico inestimabile e contribuiscono a qualificare l’offerta turistica del nostro Paese. Risorse territoriali importanti per la qualità e la competitività del sistema Italia. Una parte pregiatissima del “Made in Italy”, che rappresenta il maggiore elemento di forza della nostra economia e per il futuro del nostro Paese.
Il movimento mondiale dei Parchi si è ritrovato a Durban, lo scorso settembre e ha indicato nuovi traguardi. I 3.000 partecipanti del III Congresso Mondiale dei Parchi, una comunità multietnica appassionata e rappresentativa di una rete mondiale di 100.000 aree protette, alla presenza di Nelson Mandela, hanno indicato che i parchi, in quanto “uno dei più formidabili impegni collettivi della storia dell’umanità in materia di utilizzazione della Terra”, devono contribuire alla “riduzione della povertà e allo sviluppo economico”, essere “sorgente di benefici oltre i confini degli stati, oltre le società, i sessi, le generazioni”, “scuole viventi, luoghi straordinari in cui l’uomo trova le proprie radici, in cui le culture, i sistemi di valori e di conoscenze si trasmettono di generazione in generazione” ed essere “fattori di amicizia e di pace”. La realtà di un nuovo sogno è nei parchi per la vita e nei parchi per la pace. Inoltre, Federparchi e Legambiente stanno promuovendo, con grande successo, la costituzione della Federazione dei Parchi del Mediterraneo.
In questo momento noi cittadini iblei siamo nella fase del " confronto ideologico", anche aspro, lontano però mille miglia da un " conflitto sociale".
E faccio mia la frase di chiusura di quel post: "
In questi anni abbiamo imparato a sognare e a rendere possibili i nostri sogni. Ora, semplicemente non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo smettere."
Non debemus, non possumus, non volemus ..., a mutuare Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti ( Pio VII).
E ciò nell'esclusivo interesse del popolo ibleo.
pinoguzzardi